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Donne e motorsporti.
Classe 1951, nome di battesimo: Michèle Mouton.

È lei la donna più veloce di sempre!

Non è elegante rivelare l’età di una donna ma, quando si parla della donna più veloce di sempre, non si può non contestualizzare la sua persona in un periodo storico dove le donne di tutto il mondo lottavano per la parità dei diritti e lei affrontò quella battaglia su un terreno che è da sempre considerato a grandissimo vantaggio maschile ed in quell’epoca lo era al 100%: il motorsport.

Figlia d’arte, il padre, pilota di rally notò in lei una cosa che appare ovvia per la biologia, lo stesso DNA; instradata nelle corse su terra, dimostrò il suo talento sino ad approdare al top della disciplina dei rally: il Campionato del Mondo (WRC), nella categoria più folle ed ambita di sempre: il Gruppo B.

Instituito dalla FIA nel 1982, il Gruppo B è una categoria di auto da competizione, sia da pista che da rally, diventata celebre per aver rappresentato la massima espressione della tecnica motoristica, finalizzata alla vittoria. Il segreto del Gruppo B era celato nel suo regolamento tecnico poco stringente, che ha permesso di sviluppare le vetture più potenti e performanti mai costruite nella storia del rally. Non c’erano limitazioni di potenza, tecnologia e massa: un fattore che ha portato a prestazioni strabilianti, tuttora insuperate.

Il problema delle vetture Gruppo B era strettamente legato al loro punto di forza, ossia la straordinaria potenza. La cavalleria a disposizione risultava difficile da gestire su telai molto leggeri, spesso non in grado di garantire una stabilità ottimale, e con pneumatici inadeguati se comparati agli attuali. Numerosi furono gli incidenti mortali, con vittime sia tra i piloti sia tra gli spettatori.

A seguito delle polemiche generate sulla sicurezza del Gruppo B ed a valle di numerosi incidenti mortali per piloti e pubblico, la FIA decise di cancellare questa categoria, dopo solo quattro stagioni.

Michèle fu la prima donna in assoluto a gareggiare in mezzo agli uomini, su vetture da corsa che “ragionavano più in fretta del cervello umano”; così Juha Kankkunen definì i prodigi d’ingegneria che cavalcavano tra curve, dossi, buche e tornanti. Lei, con una determinazione che oltrepassò l’ambizione sportiva, si distinse proprio per essere un’eccezione di un mondo che non era mai appartenuto al gentil sesso: pioniera della femminilità al volante, coriacea negli intenti e folle quanto bastava vinse diverse gare di spessore e dimostrò al mondo la parità tra i sessi, nei fatti. Senza dimenticarsi di rinfrescare il proprio trucco tra una tappa e l’altra di un percorso di gara.

Il tema dei diritti delle donne, della parità tra i sessi, del riconoscimento dell’asessualità delle competenze, della professionalità, del talento e del lavoro, trovano ancora oggi degli ostacoli e delle resistenze che sfociano in atteggiamenti e comportamenti beoti e violenti, figli di secoli di oscurantismo nei quali, non appena un barlume di luce riuscì ad illuminare la strada, ci furono donne come Michèle che non esitarono a buttarcisi dentro, schiacciando l’acceleratore fino a fondo scala, senza un navigatore seduto a fianco che scandisse le note di un percorso fatto salite e discese, curve veloci e tornanti da freno a mano e controsterzo, salti, buchi, sassi e polvere. Metri e metri su cui avanzare, sopportando colpi e forze contrastanti intense ed impetuose; sopra tutto ciò, la potenza della forza di volontà sovrapponibile alla potenza della preparazione-Gruppo B non ha eguali ed è in grado di vincere su tutti i terreni.

La “gara” per l’uguaglianza di genere non è ancora finita. Finirà? Si.

Potremo porre fine alle disparità di genere quando si capirà e si accetterà che ogni Donna è capace come ogni maschio, in qualsiasi professione e disciplina sportiva, nella vita quotidiana e concreta come nella visione della strada da percorrere, col pedale destro a fondo corsa, senza esitare, senza la naturale paura dell’ignoto che imporrebbe a chiunque cautela e, per dirla in linguaggio tecnico, senza parzializzare l’acceleratore. 

Giochiamo di squadra?

In quanti altri sport stiamo assistendo a processi che porteranno all’uguaglianza di genere?

Nel calcio, tutte le società professionistiche hanno un settore al femminile, ed anche nei campionati della lega dilettanti molte società, se pur con rilevanti difficoltà di bilancio, creano settori giovanili al femminile; è doveroso sottolineare che, sia a livello professionistico che dilettantistico, fino al compimento dei 12 anni, le squadre sono miste; purtroppo, nell’età della pubertà, i processi di sviluppo fisico impongono una divisione che permane ma che è indicativo sottolineare che viene colmata, da qualche anno a questa parte, con le attenzioni dei media e del pubblico per il settore rosa, il quale regala emozioni a chi segue e riempie di orgoglio il CONI e tutte le federazioni sportive nel vedere compiuto un passo importante per la realizzazione della parità: la pari considerazione da parte dell’opinione pubblica.

Nell’atletica, nel nuoto ed in tantissime discipline, si può affermare con un elevato grado di certezza che la parità di genere esiste da tempo, ad ogni livello ed in tante nazioni: manifestazioni come Olimpiadi e Campionati Mondiali ne sono testimonianza; tuttavia è sui due sport citati che si deve fare leva per portare a compimento un processo ampio e che ha ancora tanta strada da fare per raggiungere l’obiettivo: sta alla politica, quel mondo che lavora per la convivenza civile di tutti gli esseri umani, spingere l’acceleratore al massimo giocando di squadra, senza distinzione di colore, puntando tutti assieme al traguardo: uomo e donna dovranno essere considerati esseri umani, a prescindere da tutto il resto; si dovrà tenere conto della libera espressione dell’individuo quando l’outing porrà di fronte al mondo le scelte di ognuno, perché ne un omosessuale, ne una lesbica, ne un transgender saranno meno capaci di fare squadra contro la misoginia, l’estremismo conservatore ed i limiti di una cultura che per definizione e semantica, limiti non dovrebbe averne.

Infine, è doveroso affrontare l’aspetto della disabilità nello sport: un altro grande tassello che unisce. Il progresso della tecnologia biomedica avanza e, con adeguato sostegno della politica in ambito medico-sanitario, dobbiamo puntare al traguardo di “classi miste” anche sotto questo aspetto.

Per ora, lo dico personalmente, credo che dal punto di vista delle menomazioni fisiche, non si possano definire atleti: loro sono EROI!

In conclusione, è nello sport la chiave del successo dell’uguaglianza di genere e sociale: quando si dà il massimo, ci si spende senza riserva e si affronta una partita contro un avversario considerato insormontabile dal populismo conservatore, si può perdere la partita ma si vince sempre il rispetto dell’avversario. È questo l’obiettivo: il rispetto dell’avversario, perché dentro ad ogni risultato sportivo c’è il vero momento di crescita della società: quando si dà il massimo non si perde mai.

Vinceremo tutti perché lo sport è cultura e la cultura è in allenamento perpetuo.

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