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diaz cadornaOggi è ufficialmente la festa delle forze armate: celebriamo in pompa magna la fine dello sterminio dei popoli.

Il 4 Novembre 1918 fu posto lo stop a quello che sarebbe potuto essere uno sterminio di massa senza distinzione di razza, sesso ed orientamenti di ogni sorta; l’unica discriminante alla sopravvivenza era il ceto sociale.

La gerarchia militare ed il bisogno di un esercito di massa che, in conseguenza al livello d’istruzione, era fortemente afflitto da analfabetismo, fecero sì che ad ogni gradino della scala gerarchica fosse accompagnato il ceto sociale di chi lo occupava; di qui, risalendo la piramide gerarchica troviamo il Capo di Stato Maggiore, ovvero il “delegato” del Re sul campo di battaglia.

Luigi Cadorna

Dalle notizie riportate da chi stette al suo fianco, si delinea una figura fortemente elitista, votata all’imposizione ed alla repressione dell’insubordinazione; non si hanno notizie di sue visite sulle prime linee, non ci sono atti scritti, ordini e nemmeno consigli, impartiti da Cadorna per alleviare e migliorare le condizioni di vita dell’enorme massa di carne da cannone che venne puntualmente lanciata fuori dalle trincee e verso morte certa per la gloria di una Nazione, dalle quali i massimi esponenti istituzionali e militari erano pressoché assenti ed alquanto indifferenti rispetto a quei pochi aspetti umani di un mondo che di umano non aveva più nulla.

Alle prime rimostranze, insubordinazioni e diserzioni, Cadorna introdusse la decimazione: la fucilazione di un soldato ogni dieci scelto a sorte tramite estrazione di bigliettini da un elmetto od uno zaino.

Della disfatta di Caporetto, alla quale, ai soldati, vennero imputate colpe di codardia ed inefficienza dallo stesso Generale Cadorna, oggi sappiamo che l’inefficienza è da imputare a lui ed ai suoi ufficiali nel non prevedere l’attacco nonostante i preparativi palesi dell’esercito austriaco, nel non impartire i giusti ordini di ripiegamento e nelle difficoltà comunicative dovute alla lontananza del comando posto per volontà del Generale ad Udine, a diversi chilometri dalle prime linee, fattore che, in un’epoca dove le comunicazioni radio erano appena nate, determinò la confusione causa dell’ulteriore massacro delle truppe italiane.

Armando Diaz

Subentrato a Cadorna dopo Caporetto, il Generale Diaz si distrinse per umanità: la sua figura di Soldato con esperienza sul campo, a differenza del suo predecessore il quale non combatté mai una battaglia in prima linea, conferì al suo ruolo d’élite, l’attaccamento alle origini militari, che si tradusse immediatamente in azioni concrete volte al miglioramento della vita di trincea: oltre a recarsi spesso dai suoi Soldati in prima linea facendo loro sentire la “pacca sulla spalla” ed il sostegno morale dell’alto comando, aumentò il periodo delle licenze, migliorò la qualità del rancio, introdusse, nelle retrovie, la possibilità di passare dei momenti ludici tra cui giocare  a calcio; infine, spostò il comando da Udine a Padova, molto più vicino alla linea del Piave: ciò permise una comunicazione più rapida ed efficace degli ordini i cui benefici si espressero nell’innalzamento del morale dovuto al fatto che i Soldati percepirono una coordinazione e non si sentissero più abbandonati al loro destino. Conseguenza di tutto ciò? La Vittoria.

Due persone, stesso grado militare, stesse responsabilità, stesse mansioni. Due visioni opposte.

Nessuno dei lettori e nemmeno il narratore fu con loro nella stanza dei bottoni dove presero decisioni le cui conseguenze sono storicamente accertate, quindi non vi è alcun intento di giudizio in questa narrazione; tuttavia una riflessione sovrapponibile alla politica attuale può essere fatta; la premessa necessaria è che, dalla nascita della politica, in ogni partito o movimento che sia, esiste una gerarchia verticale che s’interfaccia per livelli, nei quali si accettano le istanze provenienti dall’alto e si diffondono con un grado di autorevolezza più o meno impositivo al livello inferiore: è proprio nei due termini appena citati che si delinea la sensibilità umana: imposizione ed autorevolezza.

Per “imposizione” s’intende l’ordine impartito, insindacabile, non argomentabile e frutto di una decisione presa al di sopra di chi lo riceve, il quale può solo eseguire quanto imposto o, rifiutandosi, uscire dalla gerarchia ed abbandonare l’organizzazione cercando altrove un sistema gerarchico più aperto al confronto. Qui s’innesta l’ ”autorevolezza” nel senso di accettazione di azioni condivise da più livelli, il cui origine arriva dall’alto ma si plasma e si definisce con un certo grado di concertazione con il livello inferiore, la quale avviene in forma assembleare coinvolgendo esponenti di due livelli contigui: il superiore dal quale si è generata l’istanza o la proposta e l’inferiore, che è il primo livello che deve dare il via al processo di legittimazione la cui emanazione si diffonderà a cascata nei livelli inferiori. Il grado di autorevolezza è frutto di fattori interni ed esterni al soggetto che la detiene: per fattori interni s’intendono aspetti quali la conoscenza dei contenuti dell’istanza proposta, il livello capillare della preparazione, il back-ground esperienziale e la leadership rispetto a tutti i livelli inferiori. Per fattori esterni s’intende la legittimazione della leadership del livello superiore e del soggetto propositore primario in quanto leader.

Il meccanismo politico che rese il Generale Diaz il leader dell’esercito, a posteriori della sua investitura di Capo di Stato Maggiore, fu proprio questo: la conquista della leadership tra tutti i livelli inferiori. La genialità del Generale corse su due binari paralleli: impartire ordini giusti agli ufficiali ed andare in prima persona tra il livello più basso dell’Esercito: i fanti in prima linea. Ciò infuse morale, coraggio ed energia alle truppe che rinvigorite dagli elementi di cui sopra atti a migliorare una vita all’inferno, posero Armando Diaz sul trono di Leader legittimato dal basso: gli ordini impartiti al substrato inferiore trovarono apprezzamento estremo tra i fanti in trincea grazie da una pacca sulla spalla, ad una frase d’incoraggiamento, al rancio più saporito, al maggiore riposo di una licenza più lunga, al racconto fatto tra un assalto e l’altro di che cos’era quello che stavano facendo, che erano italiani prima che lombardi, campani, siciliani, sardi e via dicendo…che l’Italia fu fatta nel 1861 ma che gli Italiani stavano erano li, in quelle trincee, dove ragazzi provenienti da ogni luogo erano andati a combattere in un luogo sconosciuto per una Nazione di cui non sapevano nulla.

Le grandi imprese si rendono possibili dai piccoli gesti.

“Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz'altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della patria”.

Ignoto Militi.

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