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"I ragazzi con handicap disturbano, non imparano. Meglio per loro una comunità, dove mandarli seguiti da personale specializzato"

Sono queste le gravi parole pronunciate dall'assessore all'istruzione del comune di Chieri, Giuseppe Pellegrino, in occasione di un recente consiglio comunale. A queste parole ha fatto seguito la sconcertante presa di posizione, attraverso le pagine personali di Facebook, del professore Joanne Maria Pini, docente al conservatorio di Milano, che sostiene che non c'è più selezione naturale, ci sono troppi disabili e che quindi si dovrebbe ritornare alla Rupe Tarpea, poiché prima della didattica viene la genetica.

Peccato professore, mai didattica gli fu così nemica. Narra la storia che i Romani non gettavano i disabili dalla Rupe Tarpea ma bensì i traditori della patria. Viceversa era Sparta che selezionava la razza facendo lanciare i "disabili" dal picco Taigeto. Allo stesso Platone si deve la frase "è brutto per un medico il voler tentare di curare ciò che per natura è cattivo".

Per il cittadino con disabilità l'ingresso nel mondo della scuola non rappresenta solo l'esercizio del diritto all'istruzione, peraltro comune a tutti, ma l'ingresso nella vita sociale al fianco dei cosiddetti cittadini normodotati, nonché l'inizio di un percorso di integrazione e adattamento alla vita sociale. Percorso spesso irto di difficoltà: riguardo alla specifica tipologia di disabilità, al contesto socio-culturale in cui avviene e alla normativa che ne scandisce le tappe. Spesso l'handicap (incontro tra disabilità e ambiente) si accentua allorquando viene a crearsi un'ampia distanza tra il disabile e i servizi, tra il disabile e le opportunità messe a disposizione dal legislatore e dagli Enti pubblici territoriali.

L'evidente passaggio, tra la cultura del diritto all'istruzione come pratica riservata ai pochi al riconoscimento di un diritto per tutti, esalta il significato di appartenenza e di partecipazione attiva alla vita della comunità.

Il nostro partito si pone da sempre principale punto di riferimento di una cultura che, sempre più significativamente, abbina alle necessità psicofisiche della persona, l'esigenza di migliorarne l'autonomia e l'autosufficienza in un processo di integrazione e di rispetto dei diritti.

E' quindi nostro preciso dovere, come amministratori e come forma di governo più vicina ai cittadini, diffondere e sostenere questa cultura dove il modello perseguito sia significativamente quello aperto a tutti, che costruisca cittadinanza attraverso la partecipazione, l'integrazione e la coesione sociale.

Si raccomanda pertanto all'amministrazione del comune di Monza nella persona dell'assessore Maffè di vigilare affinché questo diritto è e rimanga patrimonio della cultura della nostra città e nel contempo, da riconosciuto uomo di cultura e di sani principi, di prendere le distanze da simili episodi.