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diversità integrazioneOltre alla struttura territoriale del partito (circoli, livello cittadino, provinciale e così via), operano le strutture tematiche dei Forum: Ambiente, Mobilità e trasporti, Sociale, Parco e Villa reale, Integrazione e accoglienza.

Tali Forum sono inseriti, a loro volta, in “reti” di collaborazione con le altre forze politiche, le associazioni, i singoli cittadini attivi che operano nel nostro territorio su temi specifici.

L’obiettivo di questa struttura è duplice:

  • Condividere le tante buone idee che la società civile produce
  • Dare ad esse uno sbocco politico che le concretizzi

I due livelli, società civile e mondo politico, sono ovviamente interdipendenti ma, spesso, questa interdipendenza non viene assecondata o messa in luce come dovrebbe.

Esempio di questa insufficiente interdipendenza è, a mio avviso, lo Ius culturae.

Partiamo da cos’è. Per Ius culturae si intende l’assegnazione della cittadinanza italiana ai minori, figli di genitori stranieri, che siano o nati in Italia o siano arrivati entro il dodicesimo anno d’età e abbiano frequentato regolarmente, per almeno cinque anni, uno o più cicli nel sistema nazionale di istruzione.

Inoltre i cittadini stranieri che avessero fatto ingresso in Italia da minorenni, ma non in possesso dei requisiti di cui sopra, ad esempio perché entrati dopo il compimento dei 12 anni, potevano acquisire la cittadinanza italiana dimostrando di essere legalmente residenti in Italia da almeno sei anni e di aver frequentato regolarmente un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo.

Tale provvedimento era una parte del disegno di legge sullo Ius soli presentato dal Governo Renzi, approvato alla Camera nel 2015 e mai giunto a conclusione per mancanza del necessario consenso al Senato.

Oltre allo Ius culturae, lo Ius soli prevedeva l’assegnazione della cittadinanza ad un bambino/bambina nato in Italia da genitori stranieri purchè almeno uno dei due fosse in possesso di un permesso di soggiorno di lungo periodo (in caso di cittadini non UE) o di diritto di soggiorno permanente (in caso di cittadini UE). La presenza delle condizioni limitative di cui sopra faceva sì che si parlasse di “Ius soli temperato”.

La mia tesi è che, su questi temi, sia necessario creare consenso nella società al fine di poter approvare iniziative di legge.

Esiste oggi un simile consenso ? E, se no, come favorirlo ?

Limitandoci allo Ius culturae io credo esso possa essere presentato come una proposta logica e di buon senso, oltre che giusta eticamente.

Prendo spunto da un bellissimo articolo di Tito Boeri sulla Repubblica del 2 Novembre intitolato  “Aver paura dei nuovi cittadini”.

Dice Boeri: “Si teme, per il solo fatto di parlare di cittadinanza, di fare un regalo a chi ha costruito le proprie fortune sull’odio nei confronti degli immigrati. Ma è davvero cosi? Non è peggio il non dire che il dire, non informare che informare? I fatti sono sempre i migliori antidoti ai luoghi comuni.
Sono 1 milione e 300 mila i figli di immigrati che vivono nel nostro Paese. Tre su quattro sono nati in italia. Più della metà hanno meno di 8 anni, sono dei bambini. Parlano la nostra lingua, spesso i nostri dialetti e hanno le nostre stesse inflessioni. Basta lasciarli parlare per capire chi vive a Roma, chi a Brescia e chi a Catania. In 842.000 vanno a scuola e sono seduti sui banchi di fianco ai nostri figli o ai figli dei nostri figli. Molti, come i talenti under l7 di calcio che non sono potuti andare in Brasile a difendere i nostri colori, vorrebbero indossare la maglia azzurra nelle competizioni sportive, ma non possono farlo. Hanno legami molto labili con il Paese d’origine dei loro genitori.
Ha senso farli sentire apolidi a casa nostra? Ha senso presentarli ai nostri figli come degli estranei? Ha senso insegnare loro nella nostra scuola le nostre leggi, le nostre norme sociali, la nostra storia, impartire loro la nostra cultura per poi escluderli da tutto questo? Non corriamo il rischio di sviluppare in loro e nei nostri figli un sentimento di impotenza appresa, di ingiustizia, di discriminazione, premessa di rancore, odio, diffidenza? “

E ancora “La Germania ha superato 20 anni fa lo Ius sanguinis per introdurre un diritto di cittadinanza che pone come requisito il completamento di un ciclo scolastico. Questo ha portato i genitori a investire di più nell’istruzione dei loro figli e questi ultimi a impegnarsi a scuola molto di più. Gli immigrati fanno meno figli, forse perché costa di più farli quando si vuole farli studiare a lungo, ma dedicano a questi figli molte più attenzioni e affiancano gli insegnanti nello stimolarli a mettere a frutto il tempo passato a scuola. Passano più tempo con famiglie tedesche anziché isolarsi con persone della stessa etnia. E i figli imparano più rapidamente e meglio il tedesco.
Noi avremmo un bisogno enorme di adottare un regime di questo tipo. I tassi di abbandono scolastico fra i minori di immigrati sono attorno al 35%, un’enormità. Dare una prospettiva di cittadinanza a chi completa con successo il proprio curriculum aiuterebbe moltissimo a ridurre questo spreco di capitale umano. Un ciclo scolastico significa 5.000 ore di lezione sulla nostra cultura. Altro che le 5 ore di educazione civica previste per concedere il patto di integrazione !”

L’intero articolo di Tito Boeri può essere letto all’indirizzo http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/aver-paura-dei-nuovi-cittadini.flc

Concludo questa mia riflessione citando Benedetta Tobagi che è stata ospite di Novaluna a Monza il 25 Ottobre per presentare il suo libro “La scuola salvata dai bambini. Viaggio nelle classi senza confine”. Tra i tanti spunti di riflessione offerti dalla Tobagi, cito il fatto che il titolo del libro va preso alla lettera: senza i bambini figli di genitori stranieri la scuola italiana sarebbe in gravissima difficoltà per mancanza di “utenti” ! Poi, certo, l’integrazione pone problemi, prima di tutto di conoscenza della lingua italiana, e la nostra scuola non sempre ha gli strumenti e i finanziamenti per affrontarli al meglio

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