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mantovaniPer ben due volte il Pd aveva chiesto a Maroni di rimuoverlo dall'incarico. Mario Mantovani, il vicepresidente della Regione, è accusato di aver avuto una condotta criminale nell'ambito della sua attività politica e per questo è finito in carcere. Vale, com'è giusto, la presunzione d'innocenza, ma il giudizio sul suo operato politico è già agli atti, e questi dicono che il Pd per ben due volte aveva chiesto a Maroni di toglierselo di torno.

Sono due, infatti, caso unico, le mozioni di censura discusse contro l'assessore Mantovani, entrambe sottoscritte da tutta l'opposizione ed entrambe respinte dalla maggioranza. La prima porta la data del 12 novembre 2013, e la legislatura non aveva ancora spento la prima candelina. Il vicepresidente, allora uomo forte del PDL lombardo, era andato in Israele a rappresentare la Regione dove aveva partecipato ad una cerimonia commemorativa nella Foresta Kennedy.

Qui, prendendo la parola, come riportato dal comunicato stampa ufficiale, ricordò dapprima i lombardi che a rischio della vita avevano sottratto ebrei italiani all'Olocausto, ma non si fermò lì: definì la cerimonia a cui stava partecipando "un inno ad ogni forma di vita e di libertà, contro i mille volti della persecuzione che, come nel caso del leader dell'opposizione Silvio Berlusconi, può manifestarsi anche con la negazione della parità dei diritti".

Quindi, nell'ordine, paragonò l'eccidio nazista di milioni di persone alla vicenda giudiziaria di Berlusconi, l'iter processuale di un Paese democratico a una persecuzione di massa culminata in un genocidio, la Repubblica italiana a una dittatura e, infine, usò una cerimonia in cui rappresentava la Regione Lombardia per fare propaganda alla sua parte politica. Al centrodestra non parve grave, e votò contro la mozione di censura.

Laseconda mozione di censura è del 20 maggio dell'anno successivo. Da pochi giorni era scoppiato il caso giudiziario della cupola degli appalti che coinvolgeva alcuni "facilitatori" di appalti e i vertici di alcune Asl e aziende ospedaliere.

Mantovani, che era assessore alla sanità, non solo non si affannò a ripristinare un clima di serenità e di fiducia, prendendo i necessari provvedimenti, ma fu beccato dalla stampa a convocare i direttori generali della sanità lombarda per un pranzo elettorale con alcuni candidati di Forza Italia e a fare dichiarazioni molto improvvide durante un comizio nella sua Arconate, a sostegno della candidata alla sua successione.

Che cosa disse? "Ho bisogno di direttori generali… per prima cosa mi viene da segnalare la gente di Arconate". Promise raccomandazioni. È tutto qui, in un video girato da un cittadino che era presente. Anche quella volta la maggioranza si compattò a difesa del vicepresidente. 


Vale la pena ancora ricordare almeno un caso in cui Mantovani aveva fatto parlare di sé in modo poco edificante. È il caso dell'incompatibilità tra il ruolo in Regione e quello di sindaco di Arconate. Un caso forse unico di furberia istituzionale.

Nel 2013 Mantovani venne eletto nello stesso giorno consigliere regionale e senatore, mentre ancora era sindaco del piccolo centro della provincia milanese. Tre cariche tra loro incompatibili. Egli attese fino all'ultima data utile per dimettersi da senatore ma resistette su quella di sindaco.

Fu necessario un processo, perché i suoi consiglieri comunali si rifiutarono di ratificare le dimissioni che erano conseguenti, seppure mai formalizzate, al suo aver optato per la Regione. Il prefetto di Milano fece ricorso al tribunale competente dopo aver ricevuto la segnalazione dalla giunta per le elezioni del Consiglio regionale e il giudice respinse il ricorso, dicendo che era ovvio che Mantovani non fosse più sindaco, avendo egli optato per la Regione. Peccato che di fatto lo fosse ancora, tant'è vero che non c'era un commissario. Tanto, di lì a poco, si sarebbe votato, e a vincere questa volta non fu il candidato di Mantovani. 

Di lui si è dunque parlato molto per altre vicende, molto meno per il suo ruolo di assessore alla sanità, men che meno durante la discussione della riforma. Non la condivideva, e infatti non la votò. Solo per questo sfregio Maroni si decise a togliergli la delega alla sanità, ma nemmeno in quel caso il presidente si decise a fare a meno del suo discusso numero due. Se così fosse stato, la Regione Lombardia non avrebbe subito l'onta di vedere arrestato il suo vicepresidente.