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Dote_Unica_Lavoro

Molte persone studiano il fenomeno, lo analizzano, lo ispirano alla nostra costituzione, lo girano, lo rigirano, fanno proposte, anche concrete, ma alla fine si riscontra poco costrutto per i lavoratori.

Ultimo esempio in Lombardia La Regione Lombardia ha stanziato, già da settembre scorso, circa 48 milioni di euro (decisamente una bella cifra),  per  agevolare, attraverso il Sistema “Dote Unica Lavoro”, l’occupazione dei lavoratori.  

Semplificando, il Sistema prevede che gli  “operatori accreditati” presso la Regione, formino il lavoratore inoccupato in modo da potersi reinserire o inserire nel mondo del lavoro e che il lavoratore possa scegliere l’operatore che ritenga più idoneo per le proprie aspettative. Gli operatori, sono responsabilizzati, valutati e premiati, attraverso un organo regionale,  in funzione degli obbiettivi raggiunti: il collocamento del lavoratore dovrebbe avvenire entro pochi mesi dal termine della formazione.Qualora gli obbiettivi non siano raggiunti, gli operatori non potranno più attingere alla dote.

A fronte di ciò, il primo dubbio che viene riguarda il criterio con il quale gli operatori organizzano i corsi. Non c’è un coordinamento globale dell'offerta formativa dagli enti accreditati: ogni ente è specializzato e, cerca, , di proporre corsi specifici sui quali pensa possano esserci sviluppi formativi, magari attraverso proprie indagini e/o con scopi prettamente di business.  

Probabilmente, nel settore dei servizi, corsi di formazione strutturati efficacemente in informatica, nuove tecnologie, aree di green economy possono dare qualche apporto positivo in quanto la domanda, nonostante la crisi in atto, ha ancora qualche sussulto. Ma, se l’esame si sposta alle aree della  produzione, ci si domanda quale sia la formazione utile per dare un nuovo lavoro ad un operaio inserito in un  settore in crisi per ricollocarlo in uno in espansione.

Esiste di certo una capillarità di strutture a disposizione dei lavoratori, a partire dai centri per l’Impiego, poco utili così come strutturati, per arrivare ai vari uffici per il lavoro creati presso le varie sedi istituzionali , Regione, Province, Comuni ed altre istituzioni, che cercano di supportare i lavoratori. Ognuno di questi uffici, in modo autonomo, ascolta le esigenze del lavoratore, cerca di dare qualche suggerimento, aiuta nella realizzazione del Curriculum Vitae e se va bene riesce a far inserire 2, 3 persone nel mondo del lavoro in un anno. Tanta buona volontà con risultati non proprio eccellenti.

Come, oramai, siamo abituati a sentire e leggere esistono, sul territorio, i distretti produttivi, quello del legno, della meccanica pesante, della meccanica di precisione, dell’ high-tech, ed altri. Ogni distretto ha una sua storia e naturalmente una sua geo-localizzazione, fatto che impone l’individuazione di strategie ben precise per lo sviluppo, coinvolgendo, in maniera fondamentale, la formazione dei lavoratori. Tale peculiarità, in molti casi ben gestita, da vantaggi competitivi: ma, nel momento in cui il settore va in crisi, non sussistono le strutture - o meglio non vi è un coordinamento tra quelle esistenti – che permettano di spostare da un distretto ad un altro i lavoratori che, a fronte di una crisi settoriale, rischiano il posto di lavoro. A questo si aggiunge il tema importante delle reti d’impresa, dove la maggiore difficoltà, soprattutto nell’area MB, risulta essere quella di raggruppare le aziende attraverso fattori comuni per poter usufruire di servizi specialistici di interesse condiviso e con il fine primario della crescita e dello sviluppo: si pensi all’esigenza, da parte delle PMI, di avere il Know-how di un Export Manager.

Normalmente la PMI, quando strutturata,  non potendo permettersi il “contatto diretto” con un Manager, cerca di accedere ai servizi dell’Associazione di Categoria, quando presente tale supporto, con risultati magari non proprio soddisfacenti ed un costo per la consulenza da non sottovalutare. Per quelle poco organizzate, l’argomento rimane un tabù. Risulta, quindi, indispensabile supportare le imprese in maniera diversa, magari attraverso uno sportello istituzionale specifico che si occupi di trovare fattori comuni per raggruppare le Aziende per proporre  soluzioni strutturate e facilmente attivabili. 

Moltissime imprese hanno chiuso i battenti, chi non era più in grado di sostenere i costi, chi ha deciso di delocalizzare, altre sono fallite… ed i posti di lavoro  si sono scomparsi come neve al sole. Non si possono,  certamente, addossare colpe agli imprenditori, agli artigiani che hanno cercato di resistere, ma qualcuna agli imprenditori che hanno spostato e/o stanno spostando le attività produttive all’estero magari si. Qualcuno di questi imprenditori non ha neanche provato a creare un nuovo clima di collaborazione con le parti sociali, la decisione era stata presa e non potevano esserci ripensamenti.

La chiusura di un sito produttivo genera situazioni gravi che vanno oltre la crisi della mancanza di un posto di lavoro. Mi piace pensare, come già accaduto in qualche situazione, che si possano utilizzare strumenti di gestione delle crisi, incentivi, contratti di solidarietà, fondi europei, per generare lavoro e non la chiusura dello stabilimento dopo un paio d’anni.In tutto questo, risulta  anche evidente impossibilità del sindacato nell’elaborare progetti propositivi in un’ottica diversa da quella di “salvare il salvabile”. Mi rendo conto che ognuno di questi punti necessita di approfondimenti specifici e particolareggiati, ma credo che lanciare qualche sasso nello stagno possa generare una discussione costruttiva per proporre strumenti e soluzioni da realizzare.

Per approfondimenti :

link dote unica lavoro dove sono disponibili tutti i documenti relativi all'iniziativa

link per individuare i 763 operatori accreditati

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